PORTRAIT ATELIER NAPOLI: TESTO CRITICO
TESTO CRITICO
PORTRAIT ATELIER NAPOLI
ANKE ARMANDI (acquarelli) E ANDREA LAMBRECHT (fotografia)Sottotitolo: L’ARTE NEI SECOLI – DA UN CORPOSO FIGURATIVO ALL’ASTRATTO E ALL’IMBOCCO DI UNA STRADA DI RITORNO A UN CORPOSO FIGURATIVO.
Nel comunicato stampa di Portrait Atelier Napoli si accenna al cambiamento dall’astratto al figurativo.
La domanda è se c’è stata una trasformazione epocale in questa che appare abbastanza chiaramente come un passaggio di recupero dall’astratto al concreto; dall’oggetto inanimato o animato ma cristallizzato all’oggetto, alla persona o al vivente animale o vegetale che sia, al vivo.
Epocale perché si tratta sempre di passaggi che non si riscontrano nelle teorie astratte ma nel modo come il pittore attuale si esprime come gli ditta dentro.
Un piccolissimo excursus.
La piena arte occidentale che faceva risaltare cose e persone come fossero delle sculture colte in un dato istante, appartiene al nostro 500, 600, 700.
Un’arte ben diversa da quella dell’oriente, con le sue icone meravigliose, ma prive di prospettiva e di vitalità umana anche se piene di una spiritualità transumana.
Ritorniamo al nostro 500, 600 e 700. Dopo di questi periodi anche tenendo conto dell’influenza delle grandi trasformazioni sociali e politiche l’arte figurativa/scultorea della pittura classica si va gradualmente modificando. I quadri che vediamo anche di fiori o di nature morte e le scene di vita già echeggiano il futuro della fotografia, ma fanno di più. Si comincia a perdere il senso dello spazio tridimensionale fino ad arrivare ad un apparente ribaltamento con la pittura del tutto priva della prospettiva, delle ombre, dei tanti giochi che erano stati esaltati ed esagerati nei secoli d’oro nelle quali la prospettiva era stata scoperta e studiata.
Anche i guasci come tutti i quadri dell’800 sono privi della prospettiva; esaltano soltanto la figura vista come se non ci fossero più corpi e materia alle spalle. Ricordi delle prospettive delle strade come siamo stati poi abituati a vedere nelle nostre prime macchine fotografiche non se ne vedono più.
Sembrava che ci si fosse avviati in una strada di non ritorno. Tanto con le opere estremamente di rottura con la pittura classica, tanto con quelle ibride che in parte conservano la ricerca dell’oggetto della persona come noi la vediamo, quanto la stilizzano come fosse un fumetto.
E quindi più che parlare di innovazione tumultuosa noi stiamo assistendo a un ritorno in forme molto nuove ad alcuni aspetti dell’arte più antica.
La negazione di guardare persone e cose come se fossero viste da una distanza infinita, ma naturalmente zummate, umanizzate come noi le guardiamo se invece di stare in un quadro fossero una realtà circoscritta all’interno del quadro stesso.
Napoli gennaio marzo 2015
Maria Giovanna Villari