ARIA DI SOGLIA – TESTO CRITICO DI ELENA TAVANI
SARA BERTI
Galleria Le 4 pareti, Napoli 23/62016
Aria di soglia.
Come nel Poème-Objet surrealista di Breton, dove il soggetto ha perso la testa, ma resta il cuore, in Sara Berti la composizione asseconda la ricerca di un asse, un appoggio, una postura provvisoria da parte della figura – in un intrico più o meno fitto di linee che punteggia il suo movimento, e infine lo inscrive o lo àncora a una qualche struttura, un architrave, una palma.
L’apparente neutralità della figura, scaturita da un giro di volute e di tratti essenziali, la fa somigliare a un manichino che è ancora in grado di richiamare gli antecedenti della pittura e scultura metafisica e di assorbire tutto lo spazio circostante, ma che poco o nulla ha conservato della rigidità di quegli antenati, o della loro compatta impenetrabilità. Qui piuttosto le figure, che accennino a un passo o a uno spostamento ben inscritto in una geometria angolare, o che paiano prigioniere dell’intelaiatura che pure anche le sostiene, proprio perché assorte e immerse nello spazio di soglia che contribuiscono a formare, si affidano alla postura o a un cenno del capo per rilasciare qui e là come un guizzo, un’intenzione, un capriccio.
Un’estetica dello spazio vissuto guida l’economia della composizione. Avviene così che le strutture che Sara Berti incarica di fare da sfondo, da sostegno o da accompagnamento ai soggetti sembrano generarsi, assecondandone i tentativi di dimensionarsi nello spazio, come memoria dei loro gesti, tracce di qualche movimento appena interrotto. E mentre il tema classico dell’ascensione viene rivisitato da Sara Berti con punte di divertimento e di ironia, le sue sculture in 3D restano sempre alleate dell’elemento architettonico, sebbene il disegno venga come lasciato libero di danzare, di trovare nell’elemento architettonico solo un equilibrio temporaneo o un appiglio al dinamismo delle figure.
Un discorso a parte merita il materiale scaturito dalla penna 3D. Si tratta infatti di un materiale che fa risultare la figura come insufflata nello spazio che le si raccoglie intorno e la attraversa, spazio che è unicamente quello del suo espandersi igneo e del suo rapido raffreddarsi nell’esporsi all’aria.
L’aria diventa il medium essenziale che alimenta la natura tridimensionale delle composizioni, e che fa sì che la stessa figura e le varie membrane o reti colorate si pongano come soglie, luoghi di attraversamento e di passaggio. Il soggetto si lascia talvolta anche percorrere da una banda dorata che lo prolunga verso l’alto, che lo attraversa in verticale per l’intera lunghezza del busto, centrale o laterale, in modo da mettere in rilievo la sua consistenza, contribuendo a produrre la sensazione psichica di una profondità – e che quasi gli disegna un abito sullo sfondo, o accenna un arredo da un lato, in orizzontale, che d’improvviso rende il luogo abitato o abitabile.
Nella pratica della sperimentazione e dell’ascolto dei nuovi materiali plastici l’artista si conferma nella capacità di inventare luoghi. Per figure che, a seconda dei casi, abitano disinvoltamente lo spazio da loro generato o allestito per loro da elementi di collage, oppure che si intrecciano con altre trame. Come la trama di un ricamo. E proprio il ricamo è, in una delle opere esposte, objet trouvé e soglia, sfondo e tendaggio che dissimula e rivela al tempo stesso due figure che si sono date convegno, creature sottili che i fili della penna 3D disegnano come una trama tenace che si fissa al ricamo e con alcune frecce che si fanno indicatori di un percorso, come in una mappa o un diagramma. Il ricamo ungherese, objet trouvé, oggetto quadrato, trovato e non cercato, è ‘love’.
(Presentazione di Elena Tavani)